Sala di Comunità

Nella Nota pastorale della Commissione ecclesiale per le comunicazioni sociali: "La sala della Comunità: un servizio pastorale e culturale", per Sala di Comunità si intende più specificamente la Sala Parrocchiale, luogo di incontro per le persone della Parrocchia che sperimentano tale Sala come luogo della Comunità parrocchiale.
Si può intendere però anche Sala di Comunità un piccolo – medio ambiente dove le persone, che vivono nella Comunità di Vita Consacrata, si riuniscono o per riunioni Comunitarie o per momenti di “ricreazione” o per vedere un film.
La fretta con cui oggi si tende a vivere le relazioni anche Comunitarie può portare a non avere il tempo per stare insieme, per trascorrere momenti di comunicazione o di pausa nella Sala di Comunità o altro ambiente.
Forse allora va fatta attenzione a controllare tale fretta, affinchè non diventi anche una fretta nello stare con se stessi e con Dio.
Avere perciò un ambiente che richiami alla comunicazione, alla comunione fraterna, può essere un richiamo esterno per non farsi prendere la mano da relazioni superficiali.

La sala della Comunità può diventare luogo di confronto, di partecipazione e di testimonianza, espressione di una comunità viva e dinamica. Come struttura complementare alla chiesa, la sala della comunità si pone a servizio della comunione e dell'azione educativa. E' ancora attuale l'appello del Papa: "la sala della comunità diventi il complemento del tempio, il luogo e lo spazio per il primo approccio degli uomini al mistero della Chiesa e, per la riflessione dei fedeli già maturi, una sorta di catechesi che parta dalle vicende umane e si incarni nelle "gioie e nelle speranze, nelle pene e nelle angosce degli uomini di oggi, soprattutto dei più poveri" (cf, Gaudium et Spes, 1) materialmente e spiritualmente".

Grande o piccola che sia, scarna o leggiadra, più o meno dotata di strumenti, la sala della Comunità si pone come un segno, accanto al tempio, in posizione reciprocamente complementare. E' in essa che i membri della Comunità si incontrano e si conoscono effettivamente, stabiliscono rapporti interpersonali reali ed espliciti, costruendi quella stessa comunione che si realizza pienamente nell'Eucarestia.

A tale attività della sala della Comunità offrono materiali i messaggi, i fatti e le situazioni mediati dagli strumenti di comunicazione sociale che, pur nell'apparente lontananza da un interesse immediato, sono quelli che maggiormente mettono in risalto il contesto storico nel quale la Chiesa è chiamata a porsi come sacramento universale di salvezza.
Ma quel che più conta è che il riflesso della condizione umana sullo schermo cinematografico e televisivo, oppure tra le note e le parole di una canzone, favorisce il riconoscimento di situazioni assai vicine alla Comunità e accanto alle quali i membri della Comunità passano tante volte senza accorgersene.
La Comunità che si riunisce nella sala della Comunità, in questa prospettiva, non è meno importante dell'Assemblea comunitaria che si riunisce nel tempio; e l'azione pastorale che nasce e si sviluppa a partire dalla sala della comunità non è meno efficace dì quella che viene proposta nel tempio.

Il primo passo in cui aiuta il trovarsi nella Sala di Comunità è quello di uscire dai soliti ambienti apostolici o dalla Comunità stessa, per recarsi nella “Sala di Comunità” come luogo di comunicazione e comunione fraterna.
Già questo è uno “staccare” dalla routine quotidiana, simboleggiato dall’andare in un ambiente diverso.
Un secondo passo è l’essere portati, quando si guarda un film, fuori da sé per andare verso un racconto. Certamente il racconto provocherà dei movimenti interiori nella persona, che saranno visti in seguito, ma sostiamo ora sulla modalità di uscire da sé e dalle solite problematiche quotidiane, per andare verso un racconto che è “altro” da sé.

La domanda che Pio XI si poneva nell'enciclica "Vigilanti cura" - «perché mai i film dovrebbero servire soltanto a passare il tempo, quando invece possono e debbono illuminare gli spettatori e positivamente indirizzarli al bene?» - rimane come un seme caduto lungo la strada o soffocato dalle dilaganti preoccupazioni moralistiche.
La narrazione aveva caratterizzato la pedagogia dell'Antico Testamento e delle primitive comunità cristiane. J. Navone e Th. Cooper hanno scritto una bellissima pagina al riguardo:« Gli amici di Dio, nella tradizione giudaico-cristiana, si trovano uniti come comunità che si ricorda di condividere e celebrare la vita che Dio ha dato loro. La loro fede e la loro speranza traggono vita dalla memoria che ridice la storia della fedele alleanza d'amore di Dio, origine e fondamento e meta della loro vita come popolo. Amare Dio significa ricordarsi di rivivere il dono del suo amore raccontando e celebrando la propria storia della sua bontà. Questo raccontare sta al centro della vita di fede e di culto della comunità: è la lex narrandi, principio normativo, come quelli della lex orandi e della lex credendi, che fonda l'esistenza e lo scopo della comunità. Raccontare l'esperienza è una delle maniere in cui il dono dell'amore di Dio diventa operativo nell'ímmaginazione, nel ricordo e nelle aspettative della comunítà di fede» (J. Navone e Th. Cooper, Narratori della Parola, Piemme 1986 pag. 277).
L'invenzione del cinema ha cambiato il modo del raccontare, senza sopprimere o svalutare quello letterario o figurativo e ancora meno quello orale, ma certamente occupando più ampi ed efficaci spazi narrativi.
Sul piano dei contenuto, l'indicazione che viene dal cinema deve essere oggetto di riflessione non superficiale ed approssimativa. Un film costituisce una sorta di parabola, il racconto di un fatto, di una situazione esistenziale, di una esperienza....
Il cinema ci propone nuovi racconti del dramma di una persona, nuove similitudini...

 
 
   
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